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Quando chiameranno genocidio la persecuzione dei cristiani?

La dichiarazione di genocidio creerebbe una richiesta morale...


Quando chiameranno genocidio la persecuzione dei cristiani?

 

Nel Regno Unito, ci ha pensato Lord David Alton da Liverpool a sollevare il tema: l’uccisione di massa e le persecuzioni dei cristiani e di altre minoranze religiose in Medio Oriente deve essere riconosciuto genocidio, chiede. Negli Stati Uniti, la parola genocidio sembra ancora un tabù per molti, ma il movimento di pressione perché anche il Congresso riconosca la situazione come tale è fortissimo.

Sui cristiani perseguitati, la Fondazione Novae Terrae aveva lanciato già ad agosto 2015. Veniva chiesto alle Nazioni Unite di mantenere le promesse, di mettere in piedi una road map per i cristiani perseguitati e di lavorare per una soluzione pacifica per la regione.

 

Da allora, la situazione non è migliorata. E così Lord Alton ha mosso le sue pedine al Parlamento inglese. Vice-presidente del Gruppo Parlamentare sulla Libertà Religiosa, Lord Alton ha guidato un gruppo di autorevoli personalità nel mondo del diritto, che hanno scritto al Primo Ministro David Cameron e gli hanno chiesto di prendere una posizione.

Ma anche il governo inglese era riluttante. Tanto che il 9 febbraio era stato confermato nella Camera dei Lord che il governo britannico non avrebbe classificato le azioni dell’autoproclamato Stato Islamico nel Medio Oriente come genocidio, perché la decisione riguardava “il sistema giuridico internazionale”, e non governi individuali”.

 

Gli esperti di diritto internazionale britannici però non hanno mollato la presa. “Primo ministro, ti chiediamo di rivedere questa posizione per il bene di decine di migliaia di cristiani e altre minoranze religiose che sono correntemente soggette ad atti di genocidio nel Medio Oriente”, si legge nella lettera firmata da Lord Alton e altri sei Lord, inclusa la baronessa Cox.

L’appello si basa sul fatto che il Regno Unito è tra i firmatari della Convenzione ONU sulla Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio”, e per questo il Regno Unito ha un obbligo internazionale a portare avanti il tema.

 

Ma è un tema che crea problemi, anche diplomatici. Anche gli incontri alle Nazioni Unite sono sempre stati caratterizzati da una certa prudenza, dovuta anche alle relazioni diplomatiche con gli Stati e tra gli Stati, e agli interessi delle nazioni sui territori interessati.

Più libero è il Parlamento Europeo, che lo scorso febbraio ha ufficialmente classificato la situazione in Medio Oriente come genocidio: era la prima volta che un conflitto in corso riceveva quel tipo di riconoscimento. Sempre il Parlamento Europeo aveva adottato una risoluzione ad Aprile 2015 in cui si stabiliva che “il gruppo religioso più perseguito è quello cristiano; l’estremismo e la persecuzione di questo genere stanno emergendo, e questo è un fattore significativo nel crescente fenomeno della migrazione di massa. Secondo i dati, sono 150 mila i cristiani uccisi ogni giorno”.

 

Meno liberi gli Stati Uniti, dove il dibattito è ampio. Secondo l’Amministrazione Obama, non si tratta di genocidio, perché il termine non descriverebbe pienamente la situazione. La posizione è stata espressa da Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, durante un incontro con la stampa.

Anche lì, a muoversi sono parlamentari e membri delle commissioni. Così, lo scorso mercoledì il Comitato Affari Esteri ha approvato una risoluzione sul genocidio, diventando l’ultimo di una serie di organismi che hanno chiesto di derubricare gli attacchi dell’ISIS come genocidio. Si tratta di una risoluzione bipartisan, che etichetta le atrocità commesse dall’ISIS contro “Cristiani, Yazidi e altre comunità religiose ed etniche” come crimini di guerra, crimini per l’umanità e genocidio. La risoluzione dovrà ora essere votata al Congresso.

 

È un dibattito che risale all’autunno, quando si parlo di una dichiarazione di genocidio che includesse solo i Yazidi, lasciando da parte le altre confessioni cristiane.

La dichiarazione di genocidio creerebbe una richiesta morale (e legalmente riconosciuta) per andare avanti negli interventi.

Quanto ci vorrà perché la politica lasci il posto alla necessità di un intervento umanitario?

 

Andrea Gagliarducci

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