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Centrafrica, «I profughi profumano di Cristo»

Una lettera da Bangui di padre Federico Trinchero, frate carmelitano scalzo: «Restare qui è una forma di protesta pacifica per esigere al più presto una pace vera».


Centrafrica, «I profughi profumano di Cristo»

 

Dopo la partenza del presidente Djotodia, che si è dimesso la settimana scorsa,  la guerra si è di nuovo fatta sentire con spari e morti, saccheggiamenti e disordini in molti quartieri, alcuni dei quali molto vicini al nostro convento. I nostri rifugiati però hanno preferito restare con noi, in attesa di tempi migliori e di una pace più vera. Secondo le ultime stime ufficiali un centrafricano su cinque (quasi un milione!) è attualmente un rifugiato. Difficile non dare ragione a questa gente, ormai toppo abituata ai giochi di prestigio della politica; difficile non ammettere che il Centrafrica, dopo tutta questa brutta storia, meriti qualcosa di più. Restare qui è una forma di protesta pacifica per esigere al più presto una pace vera e non una pace a metà. Ora siamo tutti in attesa dell’elezione di un presidente provvisorio; bisogna poi disarmare tutte le armate irregolari che non obbediscono a nessuno e terrorizzano il Paese e poi cercare di arrivare in tempi ragionevoli a delle elezioni più o meno democratiche. C’è un Paese da ricostruire e un sacco di lavoro da fare.

 

Nel nostro campo rifugiati la vita procede abbastanza normale… per quanto possa dirsi normale la vita di migliaia di persone strette attorno a un convento. Più che un campo profughi il nostro sembra un accampamento romano con un tocco tropicale. È davvero interessante osservare come la gente si è  organizzata per sopravvivere, nell’emergenza. Hanno creato addirittura un piccolo mercato di verdura, carne, generi alimentari di ogni sorta e altre cose utili. Ci sono addirittura dei parrucchieri, piccole farmacie, negozi di articoli religiosi, una sorta di gioco del lotto e anche bar e locali, sempre molto frequentati.

 

Abbiamo stabilito addirittura un regolamento per aiutarci a vivere meglio insieme di giorno e riposare un po’ di più la notte. Non sempre viene rispettato, ma ha la sua utilità (tanto che altri campi rifugiati l’hanno preso in prestito). Sembrerà strano, ma al 4° parallelo dall’equatore ci sono valori e principi che non son per nulla scontati: la precedenza ontologica del bambino e dell’anziano, tanto più se malati, nella distribuzione anche solo di una coperta; l’importanza del rispetto di un bene comune, cha appartiene e serve a tutti, fosse anche una sedia; il lavoro fatto bene e gratuitamente a servizio degli altri; il rispetto della proprietà privata. Nel Medioevo i monasteri furono per l’Europa cellule di civiltà e democrazia. Nel 2014, in Africa, conventi di frati e suore danno ancora un notevole contributo, spesso sottovalutato, allo sviluppo dei popoli e alla promozione di valori umani essenziali per vivere insieme senza farsi troppo male.

 

Un intraprendente comitato – con tanto di presidente, vicepresidente, segretario generale, segretario aggiunto, segretario disgiunto, consiglieri, aiuto consiglieri, assistenti e aiuto assistenti – assicura il collegamento tra la comunità dei frati e i rifugiati, per il coordinamento delle attività. E, manco a farlo apposta, è sorto pure il sindacato per i diritti dei rifugiati! Insomma: attorno al convento ora c’è un Centrafrica in miniatura con tutte i suoi vizi e le sue virtù. E questa coabitazione forzata mi ha permesso di conoscere meglio i primi e di apprezzare di più le seconde.

 

Le nascite dei bambini sono diminuite, dopo un picco di 4 parti il giorno di Natale. In compenso, la nostra gatta ha sfornato tre piccolissimi gattini nell’armadio della sacrestia. Abbiamo saputo che tra i centomila sfollati dell’aeroporto un neonato è stato chiamato François Hollande: come vedete, ognuno ha i suoi santi patroni o, forse, non sappiano più a che santo votarci!

 

Nel frattempo, oltre ai santi, ci affidiamo ai militari francesi, che stanno facendo un meticoloso lavoro di disarmo e pacificazione tra i diversi gruppi ostili. Pochi giorni fa, una pattuglia è venuta a farci visita. Il sergente Thierry si è fermato a chiacchierare un po’ con noi per aggiornarci sulla situazione. Purtroppo ci sono ancora gruppi di ribelli che si nascondono attorno alla capitale e attorno al nostro convento; ma vi sono comunque segnali concreti di distensione. Speriamo che abbia ragione. Ci assicura che sono qui per una missione di pace, anche se hanno addosso degli strumenti che sembrano dire il contrario. Mi fa quasi tenerezza questo giovane sergente! Prima di essere precipitato qui, tra seleka e antibalaka, è stato in Afghanistan, in Libano e in Mali. Ci racconta che una notte, su una strada di Bangui, ha dovuto assistere con la sua pattuglia al parto di una donna: “Solitamente noi militari vediamo la gente morire, quando non siamo noi stressi costretti a uccidere. Questa volta ci è invece capitato di aiutare un bimbo a nascere”. Poi, un po’ emozionato, mi rivela che da pochi giorni è diventato lui stesso papà di due gemelli e che non ha ancora avuto la possibilità di vederli.

 

Il nostro piccolo ospedale da campo funziona a pieno regime. Con 4 giovani medici, 4 infermieri (tra cui suor Renata, che ci raggiunge ogni giorno facendo un’ora di strada a piedi) e altri aiutanti riusciamo a fare centinaia di consultazioni al giorno e non pochi interventi la notte. Il deposito dei medicinali è nella mia stanza e quindi mi trovo a dormire tra montagne di paracetamolo, antibiotici e disinfettante. Pochi giorni fa, con l’aiuto di un’ong, quattro squadre d’infermieri hanno vaccinato più di 2mila bambini contro il morbillo e la  poliomielite. Strillavano a più non posso! Anche qui, le punture non piacciono a nessuno. Un’equipe di Medici Senza Frontiere olandese, dopo aver visitato il nostro ambulatorio e la sala parto, è rimasta quasi allibita e ci ha salutato dicendo: “Non possiamo fare niente per voi, perché non potremmo fare di più di quello che state già facendo”. Tutto nella vita avrei immaginato fuorché diventare il direttore sanitario di un ospedale, sbocciato in un baleno, nel refettorio del mio convento.

 

La saggezza popolare ricorda che l’ospite è come il pesce, che dopo tre giorni puzza. Il Vangelo e la Regola di san Benedetto affermano invece che il forestiero e l’ospite sono Cristo. Quindi, anche dopo tanti giorni, i forestieri, ospiti o profughi che vivono da noi, profumano ancora di Lui. Cerchiamo di attenerci, con tutti nostri limiti, a questa regola…anche se sono qui ormai quasi da due mesi!

 

 

Federico Trinchiero

http://www.vaticaninsider.lastampa.it

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